Der Blick, der ans eine Schöne sich verliert, ist ein sabbatischer. Er rettet am Gegenstand etwas von der Ruhe seines Schöpfungstages. […] Fast könnte man sagen, daß vom Tempo, der Geduld und Ausdauer des Verweilens beim Einzelnen, Wahrheit selber abhängt.

Lo sguardo che si perde nella bellezza di un singolo oggetto è uno sguardo sabbatico. Esso salva nell'oggetto un po' della quiete del giorno in cui è stato creato. […] Si potrebbe quasi dire che la verità stessa dipende dal contegno, dalla pazienza e assiduità con cui si indugia presso quel singolo oggetto.

Theodor W. Adorno

lunedì 22 settembre 2014

Giovanni Frangi

Giovanni Frangi, Val Bondone, 2013
olio su tela, 130x100 cm
courtesy l'artista e Galleria dello Scudo, Verona


L'olio su tela di Giovanni Frangi intitolato Val Bondone è un dipinto di grande formato, caso non isolato nella produzione dell'artista. Dal vero, sviluppandosi in verticale, immerge lo spettatore nel paesaggio che ritrae. Questa fruizione “immersiva” delle sue opere, indissolubilmente legata al fattore dimensionale, non è un aspetto secondario, ma è parte integrante dell'approccio di Frangi e del complesso equilibrio che la sua pittura tenta d'instaurare con la rappresentazione della natura e con la tradizione paesaggistica, all'interno della quale egli andrebbe – credo legittimamente – collocato, seppure in una posizione peculiare.

Ci troviamo infatti di fronte, è bene sottolinearlo subito, a paesaggi non realistici, nonostante l'artista prenda programmaticamente le mosse dalla realtà. Questa semplice constatazione, all'apparenza contraddittoria, cela tutto lo spessore teorico della rielaborazione cui Frangi sottopone l'inesausto rapporto tra figurazione e astrattismo, per il quale la riproduzione descrittiva della natura, specie dopo l'avvento della fotografia a colori, ha sovente costituito una fonte d'imbarazzo. Non a caso, all'inizio del Novecento, il filosofo Ernst Bloch ebbe a definire il movimento espressionista tedesco (ma il suo discorso vale per qualsiasi avanguardia) come un fenomeno essenzialmente metropolitano. Le temperature cromatiche di un Franz Marc, per esempio, trasportano nelle vallate del Tirolo e dell'alta Baviera le acquisizioni estetiche maturate dall'artista tra Monaco e Parigi. Analogamente, la valle Bondone raffigurata in copertina ha perso, nella trasposizione su tela, i suoi colori originari e ne ha acquisiti altri: “innaturali”, evidentemente fittizi, forse emozionali, sorti dall'incontro tra lo sguardo del pittore milanese e la montagna. Una breve nota etimologica può aiutare a comprendere più a fondo. Bondone” è un toponimo assai ricorrente nelle zone alpine, che deriva dal sostantivo bondo, la cui radice è comunemente ricondotta al lemma germanico medievale bont, ossia “prato, pascolo”: il fatto che nell'opera di Frangi non si trovi nemmeno una goccia di verde esprime meglio di tanti e articolati discorsi la tensione, presente in ogni suo quadro, verso la trasfigurazione della natura grazie all'uso del colore.

Un tentativo intrapreso non solo sulle Alpi dal già citato Franz Marc, ma anche, all'altro estremo dell'arco novecentesco, dal britannico David Hockney nelle campagne inglesi. Mentre costoro non abbandonano mai totalmente la figurazione, in quest'opera di Frangi diventa invece difficile, se non impossibile, comprendere con chiarezza forme e contorni dei soggetti rappresentati, ormai liquefatti e dissolti in sofferte campiture e chiazze cromatiche, che trapassano e s'innestano le une nelle altre, sporcate da pennellate decise. Intuiamo vagamente il serpeggiare di un corso d'acqua, forse dei massi, ma potrebbe anche trattarsi di covoni di fieno, vacche o qualche altro animale…

I colori qui sembrano coprire la natura raffigurata, nasconderla agli occhi dell'artista e soprattutto dello spettatore. Colori che tuttavia non sono autoreferenziali, non fungono cioè da puri esercizi stilistici né tantomeno da transfert proiettivi stesi sulla tela intesa come specchio dell'inconscio. Frangi sembra piuttosto dipingere con l'intenzione di far trasparire soltanto una sensazione luminosa, un'allusione formale. Sulla tela rimane un'atmosfera di quel paesaggio reale che nell'osservatore penetra e risuona più a fondo rispetto, per esempio, a una sua immagine fotografica, e così, paradossalmente, lo reimmerge con maggiore forza in quella stessa realtà da cui il colore pareva averlo allontanato.


***testo pubblicato in GIDM num. 3, vol. 34, settembre 2014***