Der Blick, der ans eine Schöne sich verliert, ist ein sabbatischer. Er rettet am Gegenstand etwas von der Ruhe seines Schöpfungstages. […] Fast könnte man sagen, daß vom Tempo, der Geduld und Ausdauer des Verweilens beim Einzelnen, Wahrheit selber abhängt.

Lo sguardo che si perde nella bellezza di un singolo oggetto è uno sguardo sabbatico. Esso salva nell'oggetto un po' della quiete del giorno in cui è stato creato. […] Si potrebbe quasi dire che la verità stessa dipende dal contegno, dalla pazienza e assiduità con cui si indugia presso quel singolo oggetto.

Theodor W. Adorno

venerdì 11 settembre 2015

Vera Portatadino

Vera Portatadino, The Cycle (When the Night Comes), 2015
olio su tela, 160x160 cm, courtesy dell'artista


Ci sono luoghi in cui l’oscurità non cala soltanto: incombe. E proprio questo li rende luoghi metaforici per eccellenza. L’Africa, protagonista di una serie di tele che Vera Portatadino ha dipinto dopo un viaggio in Tanzania, è uno di tali luoghi, se come afferma la stessa artista: «Nella natura più che nella disparità sociale emerge la contraddizione». Il concetto d’incombenza della notte, con le proiezioni a essa usualmente correlate (paura, ferinità, disorientamento e somma precarietà), ci sembra quindi una possibile chiave di lettura del suo lavoro. Una Notte che si emancipa tuttavia da ogni attributo temporale, per diventare principio, presenza allusa. Ne sono veicolo, in molte sue opere, sia bestie sia volti umani che, nell’immaginario securizzato dell’osservatore urbano, sconfinano nel dominio dell’animalità selvaggia.

Nell’immagine in copertina la notte è rappresentata da una pennellata compatta che pende dall’alto come un sipario incastrato, una forma geometrica solida, in netto contrasto con le forme delicate e fragili nella parte inferiore del quadro: uno scampolo di paesaggio africano realizzato in punta di pennello, con tocchi leggeri e luminosi. Qui il colore a olio è diluito tanto da sembrare acquerello, e tutto è connotato da freschezza e spontaneità. Se è vero, come scrive Thomas Bernhard in Perturbamento (1967), che «la tenebra dipende totalmente dall’elemento geometrico», se dunque il buio scaturisce da un rigoroso ordine del male, l’antigeometrismo della luce, del colore, dell’improvvisazione nonché delle figure diurne, sinuose ancorché composte, ne rappresenta qui il logico contraltare.

L’artista tuttavia, mediante semplici quanto efficaci escamotage tecnici di sensibilità vagamente taoista (un accenno nero sul piumaggio delle cicogne e una nota di colore, una sorta di arcobaleno rovesciato, dentro al semicerchio della notte) evita di cadere in un aggiornato manicheismo estetico. Anche la scelta del soggetto raffigurato va peraltro, più o meno consapevolmente, nella medesima direzione. Le cicogne, qui contornate da un’elegante linea grigio-azzurra, rappresentano per antonomasia la nascita, l’alba di una nuova vita. Ma nella favolistica ottocentesca di H.C. Andersen, per esempio, il loro pacifico chiarore simbolico si adombra con sentimenti vendicativi e crudeli come nelle fiabe Le cicogne e La Figlia del Re della Palude. In quest’ultima la cicogna porta a una donna una bimba vittima di un incantesimo: «Di giorno era deliziosa come un elfo del cielo, ma aveva una natura cattiva e selvatica, di notte era invece un orrendo batrace, silenzioso e piangente, con gli occhi tristi. In lei vi erano due nature che si alternavano, all'esterno, come all'interno». 

La pittura di Vera Portatadino ci sembra germogliare sul terreno di questa consapevolezza, dalla coscienza, forse ancora aurorale, di una profonda e ineliminabile ambivalenza e precarietà del reale. Per l’artista dipingere è un gesto con cui immortalarle, fissando un istante di sospensione. Si tratta forse di uno degli intenti più ambiziosi e nobili dell’arte visiva: interrompere la fluida ciclicità della vita a causa della quale abitualmente i momenti opposti si susseguono e si compenetrano tanto da rendersi a noi invisibili e inintelligibili. In questo senso, la dichiarazione di Robert Louis Stevenson in Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (1886) potrebbe fungere da promettente premessa teorica per la giovane artista: «I stood already committed to a profound duplicity of life».

***testo pubblicato in GIDM num. 3, vol. 35, settembre 2015***