Der Blick, der ans eine Schöne sich verliert, ist ein sabbatischer. Er rettet am Gegenstand etwas von der Ruhe seines Schöpfungstages. […] Fast könnte man sagen, daß vom Tempo, der Geduld und Ausdauer des Verweilens beim Einzelnen, Wahrheit selber abhängt.

Lo sguardo che si perde nella bellezza di un singolo oggetto è uno sguardo sabbatico. Esso salva nell'oggetto un po' della quiete del giorno in cui è stato creato. […] Si potrebbe quasi dire che la verità stessa dipende dal contegno, dalla pazienza e assiduità con cui si indugia presso quel singolo oggetto.

Theodor W. Adorno

sabato 18 giugno 2016

Lorenzo Di Lucido

Lorenzo Di Lucido, Collapse, 2015
olio su tela, 18 x 12 cm
Courtesy l'artista


«Con la pittura uccidi le superfici: perché un quadro, mentre viene costruito, ne uccide altri dieci, cento, anche di più». In poche parole affilate, Lorenzo Di Lucido riassume la struttura profondamente dialettica del dipingere, un processo creativo di cui egli non sottovaluta la pars destruens, ineliminabile, benché di norma sottaciuta. L'immagine ultima sopravvive allo scarto, in un percorso segnato da tentativi, errori, incertezze e ripensamenti, difficoltà tecniche e dubbi.

L'opera qui proposta, intitolata in modo emblematico Collapse (2015), illustra chiaramente questo processo. Costruire una determinata superficie pittorica – può sembrare banale ricordarlo – significa infatti elidere ogni altra superficie potenziale, cancellarla, invalidarla. Altrettanto banale sarebbe però considerare queste forme escluse, sebbene integrate nel prodotto finale in maniera invisibile, meno valide o addirittura prive di dignità. Ciò corrisponde a un'idea di tempo, di sapere e di verità tipica della logica progressista della scienza sperimentale, basata sulla formulazione di ipotesi e sulla loro rettifica, sulla creazione di manufatti tecnici rivelatisi disfunzionali con il passare del tempo oppure sull'elaborazione e rimozione di teorie risultate infondate, ovvero su radicali cambi di “paradigma scientifico”, per citare Thomas S. Kuhn.

L’impresa tecno-scientifica considera i rottami (teorici e non) che affollano questo “magazzino” ormai inservibili, oggetto di mera curiositas intellettuale; anche la storia della civiltà registra numerose configurazioni sociali e politiche abortite, transitorie, non realizzatesi sul piano istituzionale, e per questo ritenute inferiori; persino l'evoluzione biologica definisce con noncuranza “rami secchi” le specie apparse ed estintesi come comete; parimenti nella storia dell'arte, e in particolare della pittura, è celata una dimensione poco nobilitata, non visibile, spesso ipotetica, sottratta al mercato e tutta ideale, composta di opere interrotte, ripensate, accantonate e inglobate nei dipinti, nascoste sotto o dietro le immagini che esse stesse hanno contribuito a preparare e che poi sono state effettivamente portate a termine: recipienti di pittura, secondo la bella definizione del giovane pittore abruzzese.

La storia dell’arte impiega, a tal proposito, la categoria di pentimento, con cui viene indicata una modifica apportata da un artista in corso d’opera per cambiare il particolare di un dipinto: la posizione di un corpo, un dettaglio nell'abbigliamento di un personaggio, un gesto, un’espressione oppure l’elemento di un paesaggio. Poiché ogni pentimento testimonia un conflitto interiore e la risoluzione di un dubbio, esso diventa un criterio fondamentale per distinguere l'originale dalle copie: l’imitatore infatti non ha mai ripensamenti. Questi ultimi, per quanto “scomparsi”, sono ancora presenti. Si tratta però di una presenza discreta: la materialità di un pentimento può emergere, per esempio, quando il tempo ha già assottigliato le velature e le vernici, lasciando intravedere gli strati di pittura inferiori, oppure può essere scovata con moderni mezzi tecnici come radiografie, infrarossi ecc. 

Rintracciare tali segni materiali, di per sé, non dice però nulla sulle intenzioni dell'artista. Si possono solo azzardare ipotesi soggettive per cercare d’intuire il principio costruttivo che lega il segno abortito e la forma finale, e sul quale l’artista ha incardinato la composizione. Per questo Di Lucido considera la pittura «un’operazione intellettualistica e problematica», anche se la sua ricerca resta sempre molto fisica, con pennellate marcate e corpose, tonalità naturali e colori materici. Le immagini non devono essere perfette, pulite, al contrario devono recare tutte le tracce del viaggio che hanno intrapreso, «devono fare attrito», afferma Di Lucido, essere ruvide, irregolari, imperfette, frutto evidente di un processo, non precipitate sulla tela dall'alto.

Un atteggiamento che spiega la sua predilezione per il lavoro di Francesco Barocci (1535-1612): ad affascinarlo è soprattutto la notevole quantità di schizzi preparatori realizzati dal maestro urbinate, che a causa di un'estrema fragilità fisica poteva trascorrere un tempo solo limitato a dipingere. Proprio grazie al lungo processo di studio e preparazione, tramite i disegni preliminari, otteneva una maggiore velocità d’esecuzione in fase di pittura.

Di Lucido rende dunque l’interazione tra opere terminate e opere scartate il cardine della sua riflessione sulla forma e della sua poetica, che non va ricondotta semplicemente al fascino del non-finito, ma soprattutto alla problematicità della stretta e inafferrabile relazione ontologica che s'instaura, all'interno della stessa opera d'arte, tra il finito, da un lato, e il non-finito che lo ha reso possibile, dall'altro. Da questa raffinata riflessione, che a ben vedere concerne, in ultima analisi, proprio il concetto di tempo, la forma compare dal dialogo con i suoi stadi temporali precedenti e (perché no) successivi, ancora puramente immaginari. Ecco perché l'artista definisce la superficie del quadro come un «luogo in cui si dimentica». Parafrasando la celebre lezione socratica, Di Lucido non dimentica che l'artista dimentica.


Lorenzo Di Lucido nasce nel 1983 a Penne (Pescara) e attualmente vive e lavora a Milano. Formatosi in un primo tempo come maestro d'arte, si iscrive poi all'Accademia di Belle Arti di Bologna, dove nel 2008 è tutor della cattedra di tecniche e tecnologie della pittura.
Tra le numerose mostre personali e collettive cui ha preso parte dal 2002 a oggi, segnaliamo qui solo alcune delle più recenti: Il nocciolo della questione, Museo Bodini, Gemonio, Varese (2016); No place 2, Castello di Fombio, Lodi (2016); La pittura sporca, Festival Studi, Milano (2016); L’eroico Manoscritto, Biblioteca Malatestiana, Cesena (2016); Imago Mundi, Fondazione Cini, Venezia e Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino (2015); Anatomie del disegno, Spazio Quam, Scicli, Ragusa (2015); Premio Francesco Fabbri, mostra delle opere finaliste, Pieve di Soligo, Treviso (2015); La pratica del disegno, Biennale d’arte città di Penne, Castello di Nocciano (2015); Our Generation, Biennale d’arte città di Penne, Chiesa di San Giovanni Battista (2015); Head, Yellow artist-run space, Varese (2015); Prima Pagina Art Prize, Arte Fiera Bologna (2015); Premio Marina di Ravenna, mostra dei vincitori, Museo MAR, Ravenna (2014); I Low art, Art Core Gallery, Bari (2014); 2000 Maniacs, Arte Fiera Verona (2014); Pittura, Galleria Giuseppe Pero, Milano (2014); Premio Combat, mostra degli artisti finalisti, Museo Civico Fattori, Livorno (2014); Depot (esperienze di pittura in vitro), Casa Cavazzini, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Udine (2014); Il regime dell’immagine (personale), Scatolabianca, Milano (2014); In ragione dell’ombra (personale), Spazio FAR, Palazzo del Podestà, Rimini (2014).


***testo pubblicato in GIDM - num. 2, vol. 36, giugno 2016***


Lorenzo Di Lucido è il secondo artista che proponiamo con la collaborazione di Yellow artist-run space.
Yellow è un palcoscenico per la pittura: uno spazio dove pittori italiani e internazionali sono invitati a conoscersi, dialogare, sperimentare, mettere in scena, presentare e discutere il proprio lavoro. Fondato nel 2014 dall'artista Vera Portatadino e da lei diretto, Yellow è sostenuto da Associazione Stralis ed è parte di Zentrum, “piattaforma” per l’arte contemporanea, con sede a Varese.