Der Blick, der ans eine Schöne sich verliert, ist ein sabbatischer. Er rettet am Gegenstand etwas von der Ruhe seines Schöpfungstages. […] Fast könnte man sagen, daß vom Tempo, der Geduld und Ausdauer des Verweilens beim Einzelnen, Wahrheit selber abhängt.

Lo sguardo che si perde nella bellezza di un singolo oggetto è uno sguardo sabbatico. Esso salva nell'oggetto un po' della quiete del giorno in cui è stato creato. […] Si potrebbe quasi dire che la verità stessa dipende dal contegno, dalla pazienza e assiduità con cui si indugia presso quel singolo oggetto.

Theodor W. Adorno

martedì 27 settembre 2016

Valentina D'Amaro

Valentina D'Amaro, Senza titolo, 2013
olio su tela, 80 x 100 cm, courtesy dell'artista


I quadri di Valentina D’Amaro si riconoscono al primo sguardo. Non diversamente dai pittori ortodossi di icone, che reiteravano all’infinito il medesimo volto con l’aspirazione, mai appagata, di coglierne l’impalpabile santità, e similmente a Claude Monet, che ha esplorato l’anima della cattedrale di Notre-Dame a Rouen in una serie di trenta intensi dipinti (1892-1894), D’Amaro tenta di approssimarsi al nucleo atemporale, universale e spirituale del reale attraverso la ripetizione di paesaggi. 

A tal fine, nel corso degli anni, l’artista ha sviluppato un’inconfondibile poetica personale, incentrata sulla variazione dello stesso tema, rappresentato con una tecnica tradizionale simile alla grisaille: su una base grigia o marrone vengono applicati strati sovrapposti e coprenti di pittura a olio fino a ottenere una superficie omogenea nella quale le tracce delle singole pennellate scompaiono e il colore acquista un’incredibile lucentezza e profondità. 

Nonostante tale costanza tematica, osservare un suo dipinto è ogni volta un’esperienza unica e sorprendente, a cui concorrono in egual misura le dimensioni della tela e la potenza cromatica. Difficilmente la riproduzione tecnica, specie in formato ridotto, può trasmettere la carica energetica ed emozionale di queste opere. Sulle ampie campiture omogenee lo sguardo dello spettatore vaga e scruta in cerca di un centro o di un appiglio utile a tracciare uno scampolo di narrazione. La diffusa coazione, ormai assimilata, a presupporre soggettività (o a costruirla ovunque essa sembri mancare), così come il bisogno inculcato di andare “subito al sodo” evitando inutili “perdite di tempo”, urgono alla ricerca di un senso all’interno dello sfondo. Ma qui il soggetto è lo sfondo stesso, anzi, lo sfondo assorbe, ingloba e dissolve qualsiasi soggetto e ogni traccia che vi possa alludere. Perfino il cielo diventa una muta distesa bianca, piatta e immota, benché non “vuota”. 

Caspar David Friedrich e Edward Hopper sono tra le figure della storia dell’arte alle quali D’Amaro si sente maggiormente debitrice. Dal primo trae l’amore e lo stupore davanti alla natura, l’ideale romantico di fusione con essa e, al contempo, il rispetto per le immani forze che può scatenare. Del secondo, invece, ammira le atmosfere sospese, la carica metafisica infusa ai contesti più quotidiani. «Nell’esperienza della contemplazione e del contatto con la natura e i suoi elementi – confessa l’artista – possiamo accedere a stati meditativi profondi, a partire dai quali “prendere le distanze” dai limiti posti dalla quotidianità e dalla contingenza, e ritrovare quella parte intima di noi, che anche nella solitudine ci lega e avvicina agli altri e al senso globale dell’esistenza. […] In generale la mia idea di pittura è quella di un potente strumento che, se svincolato da necessità narrative e da rimandi concettuali, può comunicare, accedendo ai sensi, bypassando la mente, a un livello più profondo del sistema percettivo, con meccanismi analoghi a quelli della musica». 

L’analogia tra musica e pittura rimanda a una geniale intuizione di Ernst Bloch, che nella sua filosofia del suono – il contesto è il revival neoromantico d’inizio Novecento, innervato dalle tensioni politiche, dal gergo infuocato e dagli slanci mistici dell’avanguardia espressionista tedesca – auspicava che, accanto alla chiaroveggenza (Hellsehen, letteralmente il “chiarovedere”), si affinasse anche la capacità di Hellhören (“udir-chiaro”), per accedere a una razionalità superiore, non meramente strumentale, in cui vibrasse la dimensione ultraterrena.

«Questa vita e quest’annuncio – scrive Bloch nello Spirito dell’utopia (1918) – li possediamo nel colore, nel riflesso colorato; ma se guardo nello stesso sole nascosto, non è più arte, perfezione virtuale ancora intramondana, ma sono io: un intimo cercar-Dio privo d’immagini e di opere, in cui l’oggettivo non è che una costruzione ausiliaria, al punto che solo la nuova nascita, la disposizione del cuore, appare come opera. Al di là di ogni arte ciò sarebbe morale e metafisica dell’interiorità e del suo mondo, un nuovo stare-per-sé-nella-esistenza senza mediazioni della soggettività e del suo non mondo (Unwelt), che separa chiaramente l’immanenza dell’oggetto artistico dalla trascendenza dell’oggetto diretto o religioso». 

Il raffinato calembour tra Unwelt, il non-mondo del soggetto razionale, e l’ambiente (Umwelt) che gli sta intorno e al quale non riesce ad accedere, ci sembra valga come clavis interpretandi per la poetica di Valentina D’Amaro. «Si sviluppa pertanto una specie di armonia infinita – prosegue Bloch in riferimento alla musica – che non è più costretta a comunicare ogni volta la provenienza e la meta del viaggio, e tanto meno deve temere le esplorazioni nelle vaste regioni del vacuum tonale». Perdersi in questo “vuoto” ci sembra l’invito dell’artista.


Il terzo artista che presentiamo in collaborazione con Yellow artist-run space è Valentina D’Amaro, in attesa della personale che lo spazio varesino le dedicherà in autunno.

Valentina D’Amaro nasce a Massa (MS) nel 1966. Attualmente vive a Milano, dove si è diplomata in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera. Il suo lavoro è stato incluso nella prestigiosa pubblicazione internazionale Vitamin P3. New Perspectives in Painting, Phaidon Press, in uscita a ottobre 2016. Su invito della Presidenza dell’Unione Europea ha preso parte al dibattito “New Narratives for Europe” (Milano 2013, Berlino 2014). Nel 2005 ha vinto la sesta edizione del Premio Cairo Communication.
Ha esposto in numerose collettive in Italia, Austria, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Portogallo, Francia, Olanda, Belgio, Repubblica Ceca e Cina. Segnaliamo qui alcune delle più recenti: nel 2016 Learning from Lascaux, Museo Fiorentino di Preistoria Paolo Graziosi, Firenze; Into the Woods, Villa Contemporanea, Monza e NO PLACE 2, Castello di Fombio, Lodi. Nel 2015 Pitture di Paesaggio, Museo Biumi Innocenti, Verbania e Tra Terra e Cielo, the Workbench, Milano. Nel 2014 Alcuni Paesaggi, Museo del Paesaggio, Villa Giulia, Pallanza (VB); Made Painting in Italy, Galerie Van Campen & Rochtus, Anversa e Upward Positive Leaders, Kunstverein Neukolln, Berlino. Ricordiamo inoltre tra le personali: Vespro, Dimora Artica, Milano (2015); Naturale Irrealtà, Palazzo Parasi, Cannobio (VB) (2014); Diálogo entre paisajes, N2 Galería, Barcellona (2013); Oltre il paesaggio, Galleria Doris Ghetta, Ortisei (BZ) e Marcorossi Artecontemporanea, Verona (2013); Valentina D'Amaro, M.A.R.S., Milano (2011).


***testo pubblicato in GIDM - num. 3, vol. 36, settembre 2016***